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Per chi non è addetto ai lavori può risultare difficile comprendere la differenza tra psicologo, psicoterapeuta e psichiatra. La definizione più rappresentativa della figura professionale dello psicologo deriva dall’Art. 1 dell'”Ordinamento della professione di Psicologo”:

“La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico, rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alla comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito”.

Lo stesso Ordinamento all’Art. 4 fornisce una descrizione, seppur piuttosto sterile, della pratica psicoterapeutica:

L’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato ad una specifica formazione professionale, da acquisirsi dopo il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia…”

Di fronte ad un tale vuoto legislativo è naturale che un profano possa fare fatica ad affidarsi alla figura professionale più funzionale per risolvere le sue problematiche.

Vediamo allora di fare un po’ di chiarezza: lo psicologo è un professionista che ha conseguito la laurea magistrale in Psicologia, svolto le ore di tirocinio previste dall’Ordinamento e superato l’Esame di stato obbligatorio per essere abilitati alla professione. Lo psicoterapeuta, oltre ad aver conseguito questi titoli (oppure essersi laureato in Medicina e Chirurgia), ha altresì frequentato e conseguito il diploma presso una scuola di specializzazione quadriennale in psicoterapia, riconosciuta dal MIUR. Lo psichiatra, invece, è un professionista, laureato in Medicina e Chirurgia, che ha conseguito la specializzazione nella disciplina di Psichiatria.

Ma di cosa si occupano prevalentemente queste tre discipline? L’Enciclopedia Treccani definisce la Psicologia come:

” La scienza che studia i processi psichici, coscienti e inconsci, cognitivi (percezione, attenzione, memoria, linguaggio, pensiero ecc.) e dinamici (emozioni, motivazioni, personalità ecc.) ” .

La psicoterapia, invece, viene definita come:

” il sistema curativo delle sofferenze psichiche basato sull’uso di mezzi psicologici”

mentre la psichiatria come :

” il settore della medicina che ha per oggetto lo studio clinico e la terapia dei disturbi mentali e dei comportamenti patologici, distinti per origine, qualità, entità e durata delle manifestazioni”.

Grazie a queste seppure concise definizioni, il quadro appare più chiaro:

Lo psicologo è un professionista che può essere impiegato in settori differenti, ma non può operare laddove viene rilevata psicopatologia (ansia, depressione, disturbi alimentari ecc.), lo psicoterapeuta può curare anche (ma non solo) il paziente affetto da tali psicopatologie, ma esclusivamente attraverso mezzi psicologici, mentre lo psichiatra si occupa dei disturbi psicologici anche attraverso l’ausilio di farmaci o dispositivi medici.

La differenza sembra inequivocabile, tuttavia, sussiste un contenzioso circa i limiti tra le due professioni psicologiche, tuttavia, l’etica e il Codice Deontologico imporrebbero alla nostra figura professionale di non agire ove non si è competenti e ciò dovrebbe essere sufficiente per evitare inutili sovrapposizioni.

Entrando più nello specifico nell’esercizio della psicoterapia, esistono innumerevoli metodi psicoterapici. Quello da me utilizzato può essere ascritto tra le discipline di psicoterapia cognitivo- comportamentale. Questo particolare metodo utilizza, per il trattamento dei disturbi mentali, tecniche il più possibile evidence-based, ovvero scientificamente fondate. Ciò permette di proporre al paziente tecniche efficaci e all’avanguardia, grazie anche alla formazione continua di cui costantemente mi avvalgo. L’utilizzo di tecniche sperimentali non mi impedisce, tuttavia, di costruire progetti terapeutici costruiti sul singolo paziente, che tengano conto della storia di vita e del contesto ambientale in cui è inserito. La parola chiave è dunque “prendersi cura”, proponendo la metodologia più efficace per il paziente in un contesto emotivamente intenso e privo di pregiudizio. Le strategie offerte vengono dunque applicate con l’obiettivo di curare la sintomatologia attuale (proponendosi obiettivi terapeutici condivisi) specificatamente in un’ottica di maggior benessere psicologico e di crescita globale della persona, dove l’attenzione alle emozioni e l’approccio relazionale giocano un ruolo cruciale per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici.

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